In una società iperconsumistica come la nostra è implicito un credo, che spesso trapela in maniera più o meno velata: è più bravo chi produce di più. Il sonno è dunque un ostacolo. Ci obbliga a fermarci, inutilmente. Solo i migliori riescono a concedersi quattro ore di sonno per notte ed è per loro motivo di vanto. Sono i modelli a cui ispirarsi.
Bene, niente di più falso. Il sonno è il contribuente più sottovalutato al nostro benessere psico-fisico e rappresenta un pilastro fondamentale del concetto di salute. Questo è ancor più vero in campo sportivo: senza dormire sufficientemente non si può avere un recupero completo e un miglioramento della propria performance.
Il ritmo circadiano
L’essere umano, come gli altri organismi, ha adattato la propria fisiologia e il proprio comportamento all’aternanza del ciclo giorno/notte. Anche senza un orologio al polso, sappiamo indicare spannometricamente il momento della giornata. Questo grazie al nostro ritmo circadiano che, come dice il nome stesso, ha una durata di quasi ventiquattro ore. Il nostro organismo, grazie alla presenza di stimoli esterni, è in grado di allinearsi allo scandirsi delle giornate.
All’origine del ritmo circadiano c’è una struttura chiamata nucleo soprachiasmatico (NSC), situata nel nostro cervello a livello ipotalamico, in prossimità del chiasma ottico (posizione non casuale), composta da circa 50.000 cellule, che hanno la caratterisitica intrinseca di avere un’attività di signaling elettrico circadiana. Questo è possibile grazie a un’interazione tra alcuni geni, detti appunto “clock gene”, che codificano per alcune proteine la cui trascrizione è regolata mediante meccanismi di feedback negativo1.
il NSC proietta a circa trentacinque regioni del nostro cervello, la maggior parte delle quali situata a livello ipotalamico. Sono aree deputate al controllo del rilascio ormonale. Il NSC controlla poi il nostro sistema nervoso autonomo e tramite segnali chimici comunica con tutto il nostro organismo. In particolare, si è visto che esistono “orologi cellulari” a livello epatico, muscolare, pancreatico, adiposo ed è probabile che ve ne siano anche in tutti gli altri organi2. Questo ha portato a concludere che il NSC sia una sorta di pacemaker, che anziché guidare coordina l’attività circadiana del nostro organismo, integrando anche le informazioni di feedback che riceve dalla periferia.
Facciamo luce sul nostro orologio interno
Si è visto in diversi gruppi di mammiferi che la perdita degli occhi abolisce la capacità di adattare il proprio ritmo circadiano all’alternanza giorno/notte3.
Sorprendentemente, questa capacità non è legata ai coni o ai bastoncelli presenti nelle nostre retine, ma a una popolazione di cellule fotosensibili alla luce blu, che in risposta a tale stimolo produce una proteina chiamata melanopsina4. I coni e i bastoncelli possono tuttavia contribuire alla produzione di melanopsina, in determinate circostanze.
Questo spiega perché pazienti affetti da cecità visiva, che comunque conservano i proprio occhi, riescono ad adattarsi all’alternanza luce/buio.
Più in generale, il sonno è indotto dall’incremento di adenosina che avviene durante le ore di veglia. Si spiega cosi il potere stimolante della caffeina, che blocca temporaneamente i recettori dell’adenosina a livello del SNC e che dunque ci permette di non percepire la stanchezza. Da sottolineare però che la caffeina non elimina tale adenosina e dunque una volta svanita la propria azione si ha una sorta di efffetto rebound.
Anche altri fattori contribuiscono alla comparsa del sonno, tra cui le prostaglandine (mediatori di fenomeni infiammatori). Ecco perché in corso di fenomeni infettivi o comunque infiammatori si ha una tendenza a dormire di più.
L’altro elemento che riveste un ruolo importante è la melatonina. Erroneamente chiamato “ormone del sonno”, è rilasciata dalla ghiandola pineale secondo uno schema circadiano, che prevede un incremento proprio al tramonto, con un picco in piena notte e un successivo declino fino all’alba. La luce è in grado di inibire il rilascio di melatonina in maniera acuta. In sostanza, la melatonina rappresente quindi una sorta di marcatore biologico del buio, che è in grado di agire sul nostro SNC per una regolazione fine del nostro ritmo circadiano.
Perciò l’assunzione di melatonina esogena può aiutare la comparsa del sonno, favorire il nostro allineamento a un nuovo ciclo giorno/notte (cambi di fuso orario), ma non ha alcun effetto sulla qualità del sonno, né tantomeno sulla sua durata.
Perdita del sonno e stress dannoso
Uno stress dannoso è definito come uno stimolo fisico, mentale o emotivo che risulta in un peggioramento del proprio stato di salute o della propria performance.
è una situazione comune a molte categorie e si manifesta quando non si consente al proprio organismo di recuperare dal suddetto stimolo. Questo si traduce in una quantità di sonno insufficiente.
Di quante ore di sonno abbiamo bisogno? Sebbene la risposta sia soggettiva e variabile a seconda dei vari stimoli cui siamo sottoposti ogni girono, diciamo che in media si traduce in almeno sette, otto ore ogni ventiquattro. Soggetti sportivi che si allenano dalle dodici alle venti ore settimanali necessitano dalle dieci alle dodici ore di sonno.
Molti soggetti sono dunque affetti da carenza cronica di sonno, che provoca un’alterazione del ritmo circadiano e a catena anche del rilascio ormonale.
Primo tra tutti l’ormone adenocorticotropo (ACTH), soggetto a una doppia regolazione: circadiana, con alti livelli al mattino e bassi livelli verso sera e durante il sonno; ultradiana, ovvero un rilascio pulsatile, in risposta a stimoli “stressanti”. Senza addentrarci troppo nei dettagli, l’ACTH agisce a livello surrenalico, causando il rilascio di glucocorticoidi (corticosteroidi). Esso aiuta dunque a regolare le risposte metaboliche e immunitarie del nostro organismo.
Una privazione del sonno attiva anche la risposta simpatico-adreno-midollare che, attraverso il sistema nervoso simpatico, stimola il rilascio di catecolamine (epinefrina e adrenalina).
Livelli cronici elevati di cortisolo e adrenalina provocano una disregolazione del nostro metabolismo, tra cui una rilascio glicemico elevato e una ridotta insulino-sensibilità; incremento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa; immunosoppressione; rallentamento della digestione; rallentamento delle funzioni cognitive.
Si instaura una stanchezza cronica e una difficoltà anche psicologica, con l’incapacità di gestire emotivamente le diverse situazioni del quotidiano, con conseguenti modificazioni comportamentali.
Questo genererà un’ulteriore risposta simpatico-adreno-midollare, che può sfociare in frustrazione, bassa autostima, ansia e depressione.
Si può intuire come questo a sua volta provocherà un’ulteriore perdita di sonno e l’instaurarsi di una spirale negativa.
Tutto ciò è riassunto nello schema sottostante.
Impatto e conseguenze della perdita del sonno
Finora abbiamo utlizzato il termine generico di perdita cronica di sonno. Questo è un termine generico, che racchuide tutte le condizioni in cui vi sia una rottura del nomale ritmo circadiano , senza distinguere tra causa ed effetto. In realtà l’ultima edizione dell’International Classification of Sleep Disorders (ICSD) include ben 83 condizioni5.
L’ICSD divide i disturbi in sette categorie: insonnia; disturbi respiratori legati al sonno (es. apnee ostruttive); forme centrali di ipersonnolenza; disturbi propri del ritmo circadiano; parainsonnie; disturbi del movimento nel sonno (es. sindrome delle gambe senza riposo); altri disturbi, che non rientrano nelle categorie sopracitate.
Spesso l’origine del disturbo è correlata a una malattia, che può generare dolore o comunque un disconfort che impediscono il normale riposo. In altri casi l’origine è da ritrovarsi negli orari di lavoro (turni, aumento di ore di lavoro serali, jet lag, …).
In particolare, si è visto che in lavoratori sottoposti a turnazione vi è un aumento significativo dell’incidenza di disturbi gastrointesitnali, diabete di tipo 2, ma anche neoplasie mammarie e colonrettali6.
Per questo motivo la WHO ha classificato tale tipologia di lavoro come “probabile carcinogena”.
Da sottolineare anche la forte associazione tra disturbi del sonno e fumo, nochè ovviamente caffeina e alcool.
In particolare, quest’ultimo, sebbene nell’immaginario comune sia legato a una miglior capacità di addormentarsi, di fatto impatta fortemente la qualità del sonno, con effetti che si protraggono anche per qualche giorno.
Come prevenire?
Vediamo ora quali sono i comportamenti che ci potrebbero aiutare a prevenire l’insorgenza di disturbi legati al sonno.
- Durante il giorno: cercare la massima esposizione possibile alla luce solare; se si effettua un sonnellino, che non sia di più di 20 minuti e almeno 6 ore prima di andare a letto; fare esercizio fisico, ma ancora una volta non a ridosso dell’orario in cui si va a dormire; concentrare l’assunzione di cibo nella prima metà della giornata; evitare l’utilizzo di caffeina e situazioni di particolare stress (anche emotivo) nell’ultima parte della giornata
- Prima di dormire: ridurre la luce almeno 30 minuti prima di dormire; non utilizzare dispositivi elettronici, almeno nei 30-60 minuti antecedenti; adottare comportamenti che rilassino
- Camera da letto: non troppo calda (18-22°C); cercare di mantenere l’ambiente scuro e rimuovere gli schermi luminosi (tablets, cellulari, TV, …)
È bene sottolineare che esiste comunque una certa variabilità interpersonale, ma anche intrapersonale, lungo l’arco della propria vita. Questo significa che è l’individuo stesso che deve identificare ciò che funziona meglio per lui, per poi comportarsi di conseguenza.
Conclusioni
Come abbiamo visto, il sonno è al centro di un equilibrio complesso nel nostro organismo. Una sua mancanza si riverbera su vari aspetti e può avere conseguenze importanti sulla nostra salute.
Malgrado negli ultimi anni i progressi fatti in termini di conoscenza e presa di coscienza del problema siano stati notevoli, a oggi non esiste alcun rimedio dall’efficacia certa nel ridurre l’impatto che questo può avere sulla nostra salute, soprattutto nell’ambito di perdita del sonno legata al lavoro.
Come società bisogna considerare seriamente le circostanze di lavoro che provocano una perdita cronica del sonno e che al momento vengono ampiamente giustificate.
É necessario uno sforzo a più livelli, accademico, istituzionale, governativo e industriale, per stabilire delle linee guida basate sull’evidenza scientifica che possano permetterci di raggiungere uno stato di salute migliore.
Referenze
1 Foster RG, Kreitzmank L. 2017 Circadian rhythms: a very short introduction, xx, 143 pp., 1st edn. Oxford, UK: Oxford University Press
2 Richards J, Gumz ML. 2012 Advances in understanding the peripheral circadian clocks. FASEBJ. 26, 3602–3613. (doi:10.1096/fj.12-203554)
3 Foster RG. 1998 Shedding light on the biological clock. Neuron 20, 829–832. (doi:10.1016/S0896-6273(00)80464-X)
4 Provencio I, Jiang G, De Grip WJ, Hayes WP, Rollag MD. 1998 Melanopsin: an opsin in melanophores, brain, and eye. Proc. Natl Acad. Sci. USA 95, 340–345. (doi:10.1073/pnas.95.1.340)
5 Medicine AAoS. 2014 International classification of sleep disorders, 3rd edn. Darien, IL: American Academy of Sleep Medicine.
6 Hansen J. 2017 Night shift work and risk of breast cancer. Curr. Environ. Health Rep. 4, 325–339. (doi:10.1007/s40572-017-0155-y)